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Libertà, parresia e cura. Foucault.

 

 

A partire dalla cosiddetta età arcaica (IX sec. a. C), l’organizzazione politico-sociale degli antichi Greci si caratterizzò per i seguenti tre aspetti: la demokratia, cioè la partecipazione del demos (i cittadini liberi nati da genitori greci) all’esercizio del potere; l’isegoria, cioè l’uguaglianza -almeno in linea di principio- nella distribuzione delle cariche e la parrhesia, vale a dire il diritto di parola come atto di affermazione di sé e della propria opinione.
 
Nell’antica Grecia la parresia era diritto riservato solo ai cittadini liberi, dunque solo a coloro che godevano di pienezza di diritti civili e politici: ne consegue che lo schiavo, lo straniero (métoikos) e le donne, che in quanto tali erano escluse da qualunque diritto, non essendo cittadini a pieno titolo, non avevano evidentemente nemmeno diritto di esprimersi.


Proprio la parresia, nozione che etimologicamente significa “dire tutto“, è al centro della riflessione di Michel Foucault, che ebbe a discuterne nella Conferenza pronunciata presso all’Università di Grenoble il 18 maggio 1982 e nella Conferenza presso l'Università californiana di Berkeley nel 1983.
 
Socrate: Senti, Callicle: immagina che io avessi un’anima d’oro, e che trovassi una di quelle pietre di paragone con cui saggiano l’oro, la migliore di tutte; e immagina che io toccassi la mia anima con la pietra e che avessi la conferma del suo valore, non credi che sarei contento di sapere che tutto è a posto e che non c’è bisogno di altre prove?
Callicle: Perché mi fai questa domanda, Socrate?
Socrate: Incontrando te è come se avessi trovato questa pietra straordinaria [la pietra che permettere di mettere alla prova la sua anima]: ecco perché. Callicle: In che senso?
Socrate: Se tu ti troverai d’accordo con quello che pensa la mia anima, io sarò automaticamente certo che sia vero. Secondo me, uno che vuole davvero verificare se un’anima vive bene o no, deve avere tre doti: episteme, eunoia, parrhesia; e tu ce le hai tutte. Ne incontro tanti che non sono capaci di mettermi alla prova, perché non sanno le stesse cose che sai tu. Ce ne sono poi altri che sono sì sapienti […]
Platone, Dialoghi, da Michel Foucault, Conferenza all’Università di Grenoble il 18 maggio 1982
 
Citando il Gorgia, dialogo di Platone in cui si discute se sia possibile commettere un’azione ingiusta in modo ragionevole, Foucault riporta il passo in cui Callicle, dopo aver rilevato le incongruenze del discorso degli interlocutori Gorgia e di Polo, dice: «io parlerò fino in fondo, non mi farò ostacolare da tutta la timidezza di coloro che hanno parlato prima di me». Qui interviene Socrate e, parlando di parresia, ne dà una definizione per la quale essa non è più solo diritto di parola come presso gli antichi Greci: la parresia, secondo e in Socrate, è nel parlare libero e schietto che aiuta l’altro -l’interlocutore- a prendere coscienza di sé; è prova e pietra di paragone che consente di comprendere qual è lo stato di salute della propria anima, qual è il grado di verità delle proprie opinioni. Chiunque voglia davvero conoscersi e conoscere le questioni della vita deve farlo attraverso l’altro, attraverso cioè il confronto con l’anima e la parola di chi, sincero e accogliente, si dispone al confronto. 
 
il parresiasta, tuttavia, per essere tale, deve possedere l’episteme, cioè la cognizione/conoscenza di ciò di cui si parla e l’eunoia, la benevolenza verso l’interlocutore. Polo e Gorgia- cui pure non mancano episteme ed eunoia-, non sono buoni parresiasti, osserva bonariamente Socrate, perché troppo timidi nell’esprimere la propria opinione; Callicle, invece, esprime la propria opinione non solo dimostrando episteme ed eunoia, ma dando prova di schiettezza e coraggio di dire che sono indispensabili nella parresia .
Mi sembra che qui abbiamo la prima formulazione nel pensiero greco della parrhesia come elemento costitutivo e indispensabile del rapporto tra anime. Quando un’anima vuole prendersi cura di sé, quando vuole assicurare questa epimeleia heautou che è fondamentale, quando vuole therapeuesthai se stessa, curarsi, ha bisogno di un’altra anima, e quest’altra anima deve avere la parrhesia 
Michel Foucault, Conferenza all’Università di Grenoble il 18 maggio 1982
 
Parresia è dunque essenzialmente l’attitudine del dire
/parlare in maniera franca e coraggiosa così da agire sull’altro guidandolo verso la verità – o quantomeno a qualcosa che si avvicini alla verità- in un confronto tra anime che è al contempo un prendersi cura di sé e dell’altro, un percorso verso la consapevolezza di sé e del mondo.


Se la parresia è nel confronto aperto e privo di infingimenti, il parresiasta non può essere un adulatore.
 
direi che la parrhesia è l’inverso dell’adulazione e che l’adulazione è complementare alla collera. Nell’etica antica, la collera non è semplicemente lo sfogo di qualcuno contro qualcun altro o contro qualcosa; la collera è sempre lo sfogo di colui che ha più potere e che si trova nella situazione di esercitare questo maggior potere al di là dei limiti ragionevoli e moralmente accettabili. La collera è sempre la reazione impetuosa del più forte, e su questo abbiamo l’assoluta evidenza che presentano le analisi di Seneca e di Plutarco. Dunque la collera è il comportamento di colui che si scaglia contro qualcuno più debole di lui. L’adulazione è esattamente l’atteggiamento complementare: l’adulazione è il comportamento del più debole che desidera attirare la benevolenza del più forte. Se volete, potremmo dire che ci troviamo in presenza di un insieme abbastanza complesso: l’opposto della collera è la clemenza; il complementare della collera è l’adulazione; e l’opposto dell’adulazione è la parrhesia: collera e clemenza, adulazione e parrhesia. La parrhesia si oppone all’adulazione, ne costituisce il limite, la controbatte, proprio come la clemenza limita la collera e la controbatte. La collera è un comportamento che richiama l’adulazione e la clemenza è, per chi esercita il potere, un comportamento ragionevole che lascia aperto lo spazio per la parrhesia.
Michel Foucault, Conferenza all’Università di Grenoble il 18 maggio 1982
 

Nel confronto tra due anime alla ricerca della verità, non c’è spazio per l’adulazione, che si oppone alla parresia come la collera si oppone alla benevolenza: l’adulatore, solitamente un subalterno, mente o tace il vero per il timore della collera del superiore, che così fa pesare sul più debole il proprio potere; ma a nulla serve l’opinione ipocrita di chi, mentendo per opportunismo o per paura, dice ciò che non è o tace ciò che è. Non c’è crescita di un’anima se non nella verità.

 
…il parresiasta non è colui che parlerà all’individuo di se stesso, dei suoi affari, dicendogli quel che esattamente è, qual è il suo carattere, ecc. Certo lo dovrà fare, ma l’essenziale della funzione parresiastica sarà piuttosto di indicare al soggetto qual è il suo posto nel mondo; il parresiasta è dunque colui che dovrà fare discorsi su quel che è l’uomo in generale, su quel che è l’ordine del mondo, su quella che è la necessità delle cose. Il parresiasta in particolare – e su questo i testi di Epitteto sono molto chiari – è colui che dice, in ogni istante o ogni volta che l’altro ne ha bisogno, quali sono gli elementi che dipendono da lui e quali non dipendono da un soggetto..
Michel Foucault, Conferenza all’Università di Grenoble il 18 maggio 1982
 

Il parresiasta dunque non mente, egli è come  l’amico sincero, accogliente e disponibile che dicendo la verità con fermezza, senza maschere e tuttavia anche con clemenza e benevolenza, si fa operatore del gnothi seauton (conosci te stesso) dell’altro aprendogli gli occhi sull’umanità, sull’ordine dell’universo, sul senso dello stare al mondo.


… nella ventiquattresima diatriba del libro secondo, Epitteto risponde esattamente a questo problema. È una diatriba molto curiosa e assai strana. Non so se ve ne ricordate, si tratta della storia di un giovanotto grazioso, riccio e truccato che si recava spesso a sentire Epitteto. Ed eccolo che a un certo punto si rivolge a Epitteto – ed è così che inizia la diatriba: «sono venuto spesso per ascoltarti, e tu non mi hai risposto; ti prego dimmi qualcosa (parrakalo se eipein ti moi)». Dunque lui era lì, si è messo davanti agli occhi di Epitteto, era lì per ascoltare, e in effetti quello era il suo ruolo, poiché il suo ruolo non era quello di parlare, bensì di ascoltare. Ma ecco che l’altro non dice nulla, proprio colui che avrebbe dovuto parlare e che, in quanto maestro, era tenuto a usare la parrhesia. È una richiesta di parrhesia che il giovane gli rivolge. Ed Epitteto gli risponde dicendo questo: «ci sono due cose, due arti. C’è l’arte di parlare (techne tou legein) e vi è anche – non dice l’arte, ma l’empeiria – l’esperienza di ascoltare». Problema: ascoltare è un’arte o è semplicemente un’esperienza oppure, in fin dei conti, una certa disposizione? Sarebbe da discutere. Personalmente credo vi sia un’arte di parlare e una disposizione ad ascoltare. In ogni caso, dice Epitteto, vi è una disposizione ad ascoltare
 
Michel Foucault, Conferenza all’Università di Grenoble il 18 maggio 1982
 

La parresia è sempre un’operazione a due termini, un gioco in cui ciascuno ha il proprio ruolo: non solo il parresiasta è tenuto a dire il vero e a dirlo con convinzione e cognizione di causa, occorre d’altro canto che l’interlocutore sia disponibile all’ascolto e dia chiari segnali di voler accogliere ciò che l’altro gli dirà.

Nella parresia certamente i ruoli sono interscambiabili, come è giusto che sia quando lo scopo del confronto è la cura dell’anima nella ricerca del vero: l’interlocutore  che, come un discepolo oggi ascolta, sarà a sua volta, sempre che voglia e sappia, il parresiasta di domani per qualcuno che avesse bisogno di lui e della sua parola chiarificatrice.
 

Se così intesa, la parresia non è più soltanto il diritto di direcome nell’antica Grecia: essa, nel confronto tra due anime, si configura come dovere di dire dicendo il vero per il bene (cura) di sé e dell’altro: splendida e attualissima lezione sull’esercizio della  libertà del dire” nel segno della verità, dell’empatia e del rispetto…

 
 
 

Fonte.
Conferenza pronunciata da Michel Foucault all’Università di Grenoble il 18 maggio 1982. Titolo originale: La Parrêsia.
Traduzione dal francese a cura di mf/materiali foucaultiani: Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli, Università degli studi Aldo Moro, Bari