Letteratura

Il tempo secondo Seneca. De brevitate vitae


Nato in Spagna intorno al 4a.C, Lucio Anneo Seneca fu a Roma fin da giovanissimo e lì ebbe modo di studiare retorica e di avvicinarsi allo stoicismo.
Intrapresa la carriera politica nel 31 d.C., nel giro di pochi anni fu senatore.
Fortemente critico nei confronti del potere, specie quando dispotico e ottuso, fu in attrito con Caligola, che lo condannò a morte, per poi graziarlo, perché lo riteneva in combutta con Germanico, suo storico rivale.


Claudio, il successore di Caligola, lo condannò all’esilio con l’accusa di aver preso parte ad una congiura di palazzo: Seneca poté far ritorno a Roma grazie ad Agrippina, -la moglie di Claudio-, la quale intendeva farne il precettore per il proprio figlio Nerone.


Alla morte di Claudio nel 54 d. C., Nerone salì al potere appena sedicenne. 


Guidato dai consigli di Seneca, il giovane imperatore si distinse per cinque anni di buon governo, fino a quando, volendo emanciparsi tanto dal maestro quanto dalla propria stessa madre, uccise Agrippina nel 59 d. C e condannò a morte l’altro, accusandolo di aver preso parte alla congiura dei Pisoni nel 65 d. C.

Stoicamente il filosofo scelse il suicidio.





Tra le opere di Seneca 
(trattati De clementia De beneficiis; le Lettere a Lucilio; le Naturales Quaestiones; alcune tragedie), i dieci Dialoghi costituiscono la summa del suo pensiero sulla vita, sulla morte, sulla clemenza, sull’ozio, sulla costanza, sulla tranquillità dell’animo. 

Tra i Dialoghi, il De brevitate vitae colpisce per la modernità dell’idea espressa di e sul tempo.

 
Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur, quod in exiguum aevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant, adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec huic publico, ut opinantur, malo turba tantum et inprudens vulgus ingemuit: clarorum quoque virorum hic adfectus querellas evocauit […]
Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus. Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene conlocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur, ultima demum necessitate cogente quam ire non intelleximus transisse sentimus.[…] Ita est: non accipimus breuem vitam sed facimus nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum peruenerunt, momento dissipantur, at quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt, ita aetas nostra bene disponenti multum patet […]
Quid de rerum natura querimur? Illa se benigne gessit: vita, si uti scias, longa est. Alium insatiabilis tenet avaritia, alium in supervacuis laboribus operosa sedulitas; alius uino madet, alius inertia torpet; alium defetigat ex alienis iudiciis suspensa semper ambitio, alium mercandi praeceps cupiditas circa omnis terras, omnia maria spe lucri ducit; quosdam torquet cupido militiae, numquam non aut alienis periculis intentos aut suis anxios […]
Seneca, De brevitate vitae


Gli uomini tutti, sia il volgo che il sapiente, si lamentano della crudeltà della Natura che li ha generati per farli vivere solo un istante
: il tempo scorre tanto velocemente che la vita sembra durare un attimo. In realtà, dice Seneca Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus”: non abbiamo poco tempo, ne sprechiamo molto.


La Natura, questa la verità, è generosa, dona a tutti il tempo necessario a realizzare grandi cose. La vita è breve solo per chi non la vive come dovrebbe, non la impiega in nessuna cosa buona e la butta via in futilità: rincorrendo denaro e potere, affaticandosi inutilmente, stordendosi con il vino, creando problemi agli altri o preoccupandosi troppo per i propri, percorrendo terre e attraversando mari in cerca di fortuna, rimanendo paralizzati nella pigrizia, tormentandosi nell’ambizione o preoccupandosi del giudizio altrui.

Avendo in questo modo sprecato il proprio tempo, quando si è prossimi alla fine, ormai fiaccati nel corpo e nello spirito, ci si accorge che la vita è ormai alle spalle e non si è avuto abbastanza tempo.
 
Tempo…per cosa?
 
Il tempo di per sé non è veloce né lento, la sua durata è in relazione all’io, questa la grande intuizione di Seneca.

La vita è breve solo se la si rende tale: sono l’individuo e la qualità delle sue scelte a determinare il tempo e la sua durata.

Quando vivere significhi solo esserci -esistere- la vita scorre via con la velocità di un fiume impetuoso, così che, improvvisamente vecchi, ci si ritrova a guardarsi alle spalle e a domandarsi cosa ne è stato del tempo, come sia potuto scorrere via quasi senza quasi aver lasciato traccia di sé.


Il monito dello stoico Seneca è dunque a non sprecare la vita -il tempo- rincorrendo frivolezze (il potere, il denaro, il successo) oppure tenendosi occupati in ciò che, in una sconcertante consonanza di pensiero, quasi 1900 anni più tardi M. Heidegger indicherà come diversivi  attraverso cui l’uomo cerca di dimenticare la propria finitezza e superare l’angoscia di essere-nel-tempo.


Un tema, quello della finitezza, che è centrale nella riflessione di Seneca. 

Nella lettera a Lucilio 104, 1,  vecchio e malato, Seneca si rifugia in campagna dove spera di recuperare le forze; così, nella tranquillità del suo volontario esilio, lontano dal clamore della città, egli riflette sulla vecchiaia, sulla malattia, sull’uomo e il suo destino di morte. 

Eppure -come nel De brevitate vitae-, il tempo dell’uomo, che pure è-per-la-morte, può essere un tempo infinito,  a patto che sia tempo pieno di senso.

 
Conferire senso al tempo vuol dire prendersi cura dell'anima e della mente, agire perseguendo la virtù rimanendo sempre ben saldi di fronte al male (ut sis immobilis et contra malum et ex bono. cfr, De vita beata). 

Il senso è nell'impegno che ogni attimo trasforma in occasione di crescita. 


Il tempo della vita è lunghissimo, se ben vissuto.
 
Altrimenti è solo tempo perso.
 
 
  

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