Con il suo sapere di non sapere, nel V sec. a. C. Socrate inaugurò quella riflessione sulla conoscenza umana come ricerca che non ha mai termine, che nel Rinascimento sarà tema al centro del dibattito sull’uomo nel suo rapporto con il sapere.
Che la conoscenza sia
processo faticoso e spesso frustrante e che per i suoi limiti l’uomo non potrà
mai raggiungere la verità assoluta è il fil rouge della riflessione del tedesco
Nikolaus Chrypffs (conosciuto come Nicola Cusano, dal nome della città di Cusa dove nacque nel 1401) ne
La dotta ignoranza, opera composta nel 1440.
L’espressione ossimorica dotta ignoranza è il cardine intorno al quale ruota la gnoseologia cusana: la dotta ignoranza è la consapevolezza di chi, unico saggio tra quanti ottusamente credono di poter giungere alla conoscenza perfetta, umilmente riconosce i propri limiti, sa di non sapere o quantomeno sa che la sua conoscenza sarà sempre necessariamente parziale.
In
effetti, partendo dall’affermazione che solo chi crea conosce l’essenza delle
cose create, Cusano giunge alla conclusione che gli enti reali/il mondo
sensibile, in quanto opera divina non possono essere pienamente conosciuti
dall’uomo. Inoltre, conoscere è giudicare, ed è
possibile definire qualcosa solo attraverso il paragone con
qualcos’altro, mettendo cioè in relazione ciò che già si conosce con ciò che
invece non si conosce ancora…
Tutti
coloro che ricercano giudicano ciò che è incerto paragonandolo e
proporzionandolo a un presupposto che sia certo. Ogni ricerca ha carattere
comparativo e impiega come mezzo la proporzione.
N. Cusano, De
docta ignorantia
Ma se
conoscere vuol dire comparare ed è possibile comparare tra loro solo cose
finite, ne consegue che Dio/l’Infinito non è comparabile a nessun
oggetto finito, dunque non può essere conosciuto salvo che attraverso una teologia negativa, vale
a dire attraverso un discorso che dica di Lui ciò che Egli non è e non può
essere.
Insomma, per Cusano lo scarto tra la conoscenza umana e l’oggetto su cui essa si esercita è incolmabile come quello tra il poligono e il cerchio in cui è esso inscritto: a nulla serve moltiplicarne i lati, il perimetro del poligono non combacerà mai con la circonferenza del cerchio.
Dunque, è sapiente colui che riconosce la propria limitatezza: solo ammettendo la propria ignoranza è possibile aprirsi all’unica vera conoscenza, quella attraverso cui, procedendo per congetture-ipotesi (De conjecturis), si persegue la verità sia pur nella consapevolezza che essa sarà mai raggiunta perché, nel processo infinito della conoscenza, più si sa/si conosce tanto più si diventa coscienti che c’è ancora moltissimo da imparare.
Galilei come Cusano
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