Letteratura

La verità secondo Heidegger. Tra Filosofia e letteratura


Il tema della verità e parallelamente quello dei criteri/delle condizioni che permettano la conoscenza è al centro della riflessione filosofica da sempre.


Parmenide per primo distinse tra vera conoscenza 
(episteme) e opinione (doxa): la conoscenza è nella corrispondenza tra la verità insita nell’Essere e il pensiero razionale/il linguaggio. L’opinione al contrario si muove nel campo del non-essere, vale a dire nell’ambito delle apparenze ingannevoli.

 
Il primo assedio al concetto di verità come ontologicamente costitutiva di ciò che è venne dai sofisti
: essi negarono l’esistenza di una verità intrinseca all’essere giungendo a negare l’esistenza della stessa realtà oggettiva, perché nulla esiste al di fuori del soggetto e del suo sentire. L’uomo è misura di tutte le cose, sosteneva Protagora, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono. Dunque, l’Essere come lo aveva pensato Parmenide, non esiste, ma se anche esistesse, aggiunse Gorgia, non sarebbe conoscibile né comunicabile.

 
Schematizzando grossolanamente per esigenza di brevità: con Parmenide ha inizio l’ontologia, la filosofia dell’Essere che sarà a fondamento della metafisica; con i sofisti inizia la lunga e fortunata storia del relativismo/scetticismo, vale a dire dell’dea che sia impossibile pervenire alla Verità o perché una verità assoluta non c’è o solo perché i limiti dell’uomo sono tali da impedirgli di conoscerla appieno  (come secondo N. Cusano, che a metà del Quattrocento parlerà di dotta ignoranza nell’opera omonima o ancora come M. Montaigne a metà del Cinquecento): un’idea che, declinata in forme diverse, s’insinuerà nella filosofia come nella letteratura a partire dall’età moderna per poi trovare l’humus ideale nella crisi del Novecento.

 
La verità secondo M. Heidegger
 
Allievo del padre della fenomenologia E. Husserl dal quale poi prende le distanze, il filosofo tedesco M. Heidegger in un corso tenuto tra il 1931 e il 1932 (L’essenza della verità) presso l’Università di Friburgo, si esprime sul tema della verità riportandolo sul piano dell’ontologia: la verità è l’essere/il senso  degli enti (di tutto ciò che è) che si manifesta uscendo dall’ascositàNon a caso la parola Aletheia utilizzata dai filosofi presocratici per dire verità significa non (a: alfa privativo) oblio (lèthe): dunque secondo Heidegger c’è verità quando l’essere si sottrae al nascondimento, quando esce dall'oblio squarciando il velo che lo copre.

Ci chiediamo: abbiamo dagli antichi una testimonianza di questa esperienza fondamentale dell’ente come qualcosa che si nasconde? Fortunatamente sì, ed è anche una testimonianza eccelsa di uno dei filosofi più grandi e per giunta più vetusti dell’antichità: Eraclito. Di lui si tramanda il significativo detto: [he] phy`sis ... kry`ptesthai philèi . Il regnare sovrano dell’ente, cioè l’ente nel suo essere, ama nascondersi. In questo detto sono racchiuse molte cose. He phy`sis, la «natura»: con essa non si intende la sfera dell’ente che è oggi per noi oggetto della fisica, ma il regnare sovrano dell’ente, di tutto l’ente: della storia dell’umanità, dell’accadere della natura, dell’agire divino. L’ente in quanto tale, vale a dire in ciò che esso è in quanto ente, regna sovrano. Kry`ptesthai philèi: Eraclito non dice che l’ente in quanto tale si nasconde realmente, di tanto in tanto, ma philei: ama nascondersi. Il suo proprio, intimo impulso è di restare nascosto e, una volta svelato, di ritornare nuovamente nella velatezza. Non possiamo qui discutere come questo detto di Eraclito sull’ente sia legato alla sua concezione fondamentale dell’essere. Giocando, la divinità costruisce il mondo innumerevoli volte, come qualcosa di sempre diverso. Basta così. In questo detto di Eraclito trova espressione quella esperienza fondamentale con la quale, nella quale e a partire dalla quale si incominciò a guardare nell’essenza della verità come dis-velatezza dell’ente. E questo detto è antico, tanto antico quanto la stessa filosofia occidentale; anzi dobbiamo dire: questo detto esprime quella esperienza e quella posizione fondamentale dell’uomo antico con le quali soltanto ha inizio propriamente il filosofare…
M. Heidegger, Considerazioni introduttive da L’essenza della verità, Milano, Adelphi, 1997
 
La verità heideggeriana è l’essere senza cui l’ente non sarebbe né avrebbe senso: essa non ha dunque nulla di trascendente, non è da ricercare in uno spazio altro da quello degli uomini/del mondo, non è nell’iperuranio di platonica memoria o in un qualche dio della religione; essa tuttavia non è nemmeno nell’ immediatezza del dato (idea secondo cui il senso-la verità  è a lì portata di mano e sotto gli occhi di tutti). La verità è invece faticoso disvelamento dell’essere che è nascosto negli enti. Aveva ragione Eraclito quando sosteneva che la Natura, - non solo la natura intesa come mondo fisico ma in generale tutto ciò che è, dunque la vita, il senso della Storia e dell’agire umano- ama rimanere nascosta; tuttavia, aggiunge Heidegger, quando vi siano le giuste condizioni e quando v’è chi sappia mettersi in ascolto della sua voce, la verità dell’essere esce dall’oblio (lèthe) e si concede nella sua interezza.

 
Nel mondo inautentico descritto in Essere e tempo, il mondo dei diversivi che fanno dimenticare se stessi e delle inutili assordanti chiacchiere che coprono qualunque altra voce, la Verità fatica a farsi sentire; nel mondo ove il predominio della tecnica (cfr, Dialogo su diritto e tecnica) pone illusoriamente l’uomo al di sopra della Natura, che è piegata/manipolata a fini pratici/utilitaristici, si compie un sacrilegio nei confronti dell'essere (1) e della verità.

 
Qual è la via verso la verità?

 
Accedere alla verità è possibile solo attraverso un filosofare -ma in generale attraverso un approccio alla vita e al mondo- del tutto nuovo. 

Occorre tornare ad abitare il mondo poeticamente, perché «pieno di merito, ma poeticamente, abita l'uomo su questa terra (Voll verdienst, doch dichterisch, wohnet der Mensch auf dieser Erde»)(2), vale a dire: l'uomo abilmente (pieno di merito) fabbrica oggetti e predispone strumenti che gli rendano l’esistenza più facile, tuttavia non in questo è l’essenza/la verità dell’essere; solo abitando il mondo poeticamente è possibile recuperare l’essenza. 

Vivere poeticamente significa liberarsi dal vuoto di un linguaggio freddamente denotativo, dai dogmatismi della logica e dalle manomissioni della tecnica per riavvicinarsi, proprio come nella poesia -e in special modo nella poesia veggente e fulmineamente evocativa  Hölderlin- all’autenticità dell’essere, al senso della vita e del mondo.

La poesia è istituzione attraverso la parola e nella parola...Deve venir all’aperto ciò che regge e pervade l’ente nel suo insieme” (La poesia di Hölderlin).



 

Heidegger e la letteratura

 
Enorme è il debito di certa letteratura novecentesca nei confronti di Heidegger.
 
L’eco più immediata del suo pensiero è nella letteratura esistenzialista di Sartre e Camus: prendendo le mosse da Essere e tempo, Sartre nel romanzo La nausea e Camus ne Lo straniero riflettono sul nulla della vita inautentica che ha smarrito il senso dell’Essere, sia pure approdando entrambi ad un nichilismo che è ben lontano dalle posizioni di Heidegger.


Suggestioni heideggeriane sono poi rintracciabili nel lucido pensiero poetante di Montale: la riflessione sulla finitezza dell’uomo e sulla temporalità; la ricerca di un varco che conduca fuori dall’inganno di ciò che appare  (le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede: cfr, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale) e conduca verso un senso; la critica all’inautenticità della società di massa (cfr, Satura)  sono le tematiche da sempre care al filosofo tedesco.


Come non pensare, infine, alla parola poetica di Ungaretti, parola nuda che nasce dal cuore. 

Scarna ed essenziale ma al contempo fortemente evocativa, la parola ungarettiana è illuminazione fulminea che restituisce la verità/l'Essere; è strumento di indagine esistenziale, segno/significante in grado di attingere il senso profondo della vita e della morte, dell’odio e dell’amore, della precarietà e del sogno di eternità: così che quel brandello di muro (cfr, San Martino del Carso) dice l'orrore della guerra più di mille parole...

 

 
 
1. Carlo Sini, "Tra Husserl e Heidegger frattura che ha inciso sul Novecento" la Repubblica 2013
2.  M. Heidegger, Hölderlin e l’essenza della poesia, Adelphi, 1997
3. M. Heidegger, Considerazioni introduttive da L’essenza della verità, Adelphi, 1997

 
 

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